La roadmap ProtectEU della Commissione UE? Un pericoloso passo verso lo Stato di sorveglianza permanente.

25 luglio 2025 - Advocacy

La “roadmap” del progetto ProtectEU annunciata nelle scorse settimane dalla Commissione Europea, presentata come un’azione di “rafforzamento legittimo” degli strumenti a disposizione delle autorità giudiziarie e di polizia, rappresenta un ribaltamento delle priorità democratiche: la privacy e i diritti fondamentali dell’individuo sono trattati come ostacoli da gestire, non come valori fondativi da tutelare.

Nel documento COM/2025/349 final – elaborato nell’ambito della strategia ProtectEU, il nuovo piano di “Sicurezza interna” annunciato dalla presidente Ursula von der Leyen – si legge che «la sicurezza è la pietra angolare su cui poggiano tutte le libertà fondamentali». Questa affermazione costituisce un capovolgimento ideologico che collide tanto con l’impianto originario dell’integrazione europea quanto con i suoi testi costitutivi, a partire dall’articolo 2 del Trattato sull’Unione europea e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, che pongono la libertà e la dignità umana al centro dell’ordinamento comune.

La strategia della Commissione rischia di trasformare l’eccezione in regola: il sospetto permanente diventa categoria ordinaria, la raccolta preventiva di dati si istituzionalizza e il tracciamento di massa si fissa come infrastruttura di governo. È lo stesso approccio securitario coltivato da trent’anni da diverse aree politiche, che ha già eroso libertà essenziali, dal diritto di manifestare pacificamente alla libera espressione del dissenso, ovunque sia stata applicata.

Come conseguenza secondaria, è ormai comprovato che la sorveglianza di massa generi un effetto dissuasivo: la semplice consapevolezza di poter essere monitorati induce autocensura, erodendo il pluralismo. Secondo la letteratura più recente, restringe anche lo spazio per lo sviluppo personale e politico e svuota di partecipazione il dibattito pubblico. Spesso in gioco non è soltanto la privacy, ma una parte della vitalità stessa della democrazia.

Un testo da riscrivere, o abbandonare #

Il testo proposto ha una lunga serie di punti critici, che affrontano diverse tematiche: dall’abuso dell’IA nelle investigazioni, alla ormai sempreverde proposta di indebolire la crittografia.

Conservazione dei dati

Uno dei punti più critici è il tema della conservazione dei dati. La Commissione promette una “valutazione dell’impatto”, ma l’obiettivo è già chiaro: aggiornare le norme per garantire un accesso più ampio e sistematico ai dati da parte delle autorità. In altre parole, tornare a forme di data retention indiscriminata, già dichiarate illegittime in più sentenze dalla Corte di Giustizia dell’UE (ad es. CJEU, 8 April 2014. Digital Rights Ireland Ltd v Minister for Communications, Marine and Natural Resources and Others).

Attacco alla crittografia, di nuovo

Il paragrafo dedicato alla decifratura è altrettanto inquietante. La Commissione intende promuovere “soluzioni che agevolino l’accesso ai dati crittografati” entro il 2030. Si punta per l’ennesima volta a indebolire la crittografia, uno degli strumenti più efficaci che oggi abbiamo per proteggere comunicazioni sensibili. Una contraddizione enorme se si pensa che la precedente Commissione, sempre a guida Von der Leyen, consigliava di usare Signal, nota app di messaggistica con cifratura end-to-end.

Inserire backdoor nelle tecnologie di cifratura significa renderle vulnerabili per tutti. Non esistono “scappatoie” sicure che solo le autorità possono usare. Una volta creata la falla, è solo questione di tempo prima che venga sfruttata da attori malevoli, gruppi criminali o governi esteri e non. Un clamoroso auto danneggiamento nel contesto di una strategia atta alla “Sicurezza Interna”.

IA per analisi forensi

L’incentivo allo sviluppo di strumenti di informatica forense e intelligenza artificiale da applicare all’analisi dei dati digitali rappresenta una diretta minaccia al giusto ed equo processo. Questa modalità di analisi si basa su dati spesso sottratti in modo illecito, ed è effettuata tramite algoritmi che inevitabilmente sono soggetti a bias etnici, sociali, religiosi e di genere; di conseguenza, potrà solamente produrre prove di origine infondata, colpendo soprattutto le categorie già vulnerabili. La natura dubbia di queste prove le rende inammissibili in sede giudiziaria.

Le garanzie non sono e non possono essere credibili

La “roadmap” menziona più volte la necessità che l’accesso ai dati sia “necessario, proporzionato e rispettoso dei diritti fondamentali”. Ma nella pratica, sappiamo che una volta che una tecnologia è disponibile verrà usata e abusata, specialmente dalle posizioni di potere. Lo sappiamo da tutti i precedenti di sorveglianza di massa, a partire dalle rivelazioni di Snowden, fino all’attuale crisi degli Spyware, in parte europea, che la Commissione continua ad ignorare. Sappiamo tutti bene, come in quel frangente, i controlli di esportazione e uso siano inefficaci, e come le investigazioni statali lascino estremamente a desiderare, benché formalmente assolvano gli obblighi di legge.

Conclusione: una strada che porta alla normalizzazione della sorveglianza #

La presente roadmap della Commissione UE rischia di diventare l’infrastruttura di un panopticon digitale europeo. È quindi il momento di ribadire con forza che la privacy non è il problema: è parte della soluzione. Difenderla non è un ostacolo alla giustizia, ma una condizione per una società davvero democratica.

Invitiamo le organizzazioni civiche, le associazioni di avvocatura, i garanti per la privacy e i rappresentanti del Parlamento europeo a sollevare con urgenza il dibattito su ProtectEU, prima che diventi una realtà giuridica vincolante senza un reale confronto pubblico.

Hai letto un articolo della sezione Advocacy, dove ci occupiamo di difendere la privacy e l’anonimato online, documentando minacce e pratiche invasive come quelle delle aziende di sorveglianza e promuovendo una cultura digitale consapevole e libera.

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